Nonostante questo sia un errore che non ho mai fatto, c’ho messo un po’ a comprendere cosa significa fino in fondo lo “Show, don’t tell“.
Onestamente non credevo che fosse un errore così comune, tra gli aspiranti scrittori, eppure mi sono ricreduta.
Quest’anno sto partecipando al torneo di Io Scrittore 2021 e, trovandomi a leggere vari incipit, ho notato che tutti, a parte uno, non conoscono la regola del “Show, don’t tell”.
Ma cos’è?
“Show, don’t tell” significa “Mostra, non raccontare”. Ed è proprio questo l’errore più comune che fa chi si approccia alla scrittura. (Questo, oltre a quello di non infondere emozioni).
Chi non utilizza questa piccola, ma necessaria regola, avrà tra le mani un testo veloce (non scorrevole), per nulla immersivo e non coinvolgente. Il lettore potrebbe arrivare a metà dell’opera e dire: “Ok, ho capito, ma quando inizia?“. E, invece, la storia era già iniziata cinquanta pagine prima.
Il tutto appare come un preludio, un resoconto veloce delle cose che deve sapere il lettore prima che la storia vera e propria inizi. Come un anticipo prima della della “Chiamata All’avvenuta“.
Tutto questo, che è un raccontato e non un mostrato, non stimola il lettore, lo indurrà a capire poco (o forse nulla) e avrà l’impressione che l’autore abbia voluto scrivere e terminare in fretta tutto il libro.
E, allora, come si supera questo ostacolo?
Più semplice a farlo che a dirlo. Bisognerà concentrare la narrazione su un singolo personaggio anche se si tratta di un punto di vista dalla terza persona. Nulla vieta di cambiare scena o prospettiva, immedesimandosi in un altro personaggio.
È importante vedere da vicino i suoi pensieri, quello che lo circonda, quindi osservare il luogo, descrivere i personaggi che interagiscono.
Se è un posto in cui il protagonista trascorrerà molto tempo, è bene specificare se ci sono odori, suoni in particolare, oggetti che potrebbero delineare il passato dei protagonisti, e quindi il loro carattere.
So che ancora non è sufficiente per comprendere bene questo concetto, e quindi ho voluto farvi un breve esempio prendendo Helene Kollrdottir, un personaggio che troverete in “Erkalya – L’alba Del Caos” (romanzo in uscita il primo gennaio). In realtà non si tratta di qualcosa che leggerete, ma un piccolo spiraglio proveniente dal suo passato.
Il primo pezzo che leggerete si tratta di un raccontato senza lo “Show, don’t tell”. Durante la scrittura, ho cercato di essere abbastanza fedele con gli incipit letti durante le valutazioni di Io Scrittore.
Nel secondo pezzo, leggerete un mostrato con la regola dello “Show, don’t tell”.
Primo pezzo:
Helene, alle prese con delle scartoffie, venne chiamata dal Generale del Drago Jamka Ivarson, in tenuta di lavoro. Le disse che non c’era più tempo: i maghi proibiti erano già alle prese con lo spostamento e dava a lei la colpa.
«È troppo presto» disse Helene, pensando che le avevano detto un’altra cosa. Però, in effetti, qualcosa già non tornava ma forse era stata una decisione dell’ultimo minuto.
Allora, la donna corse al rifugio a chiedere informazioni.
«Ancora pensavi che ti credevamo una di noi? Povera illusa… Lo sappiamo che sei solo una spia. Ti abbiamo mentito per depistare te, e tutti gli altri» disse Ruthilia, che si riteneva una specie di Jarl per tutti i suoi maghi.
Helene tentò di difendere la sua posizione, ma non ci riuscì. Anzi, si trovò circondata e con una lama alla gola.
Secondo pezzo:
Helene sbuffò. Aveva scritto tutto sulla carta. Eppure, qualcosa non tornava. I maghi a cui lei e gli altri davano la caccia stavano agendo in modo troppo sospetto.
A interrompere le sue riflessioni fu il il Generale del Drago Jamka Ivarson, che entrò nella stanza. Helene non lo aveva mai visto senza la sua armatura color argento, e quella volta non fece differenza. La cotta di maglia spuntava da sotto il metallo. «Hai fallito, Helene» le disse con tono duro. «Si stanno spostando. Hanno già fatto partire i primi carri verso nord e se non li raggiungiamo adesso, li perderemo.»
«È troppo presto» mormorò lei sfogliando le pergamene sul tavolo. Non poteva essere colpa sua, qualcosa doveva essere andato storto. Si sentì in colpa anche se pregava di non averne. «Qualcosa non mi torna, ma devono aver preso questa decisione all’ultimo minuto… altrimenti mi avrebbero informata.» Lei comprese che, più sfogliava quelle pagine scritte con inchiostro nero, più avrebbe perso attimi preziosi. «Devo andare da loro.»
Il Generale annuì con le braccia conserte.
Cambiata d’abito per non essere riconosciuta, la donna uscì dalla struttura, andò in centro città a mescolarsi tra le persone per evitare che, nel caso fosse stata seguita da qualcuno, avrebbero perso le sue tracce. E poi si diresse verso il loro rifugio.
Quando era entrata a far parte della squadra di ricerca, mai aveva creduto che si sarebbe finta una sacerdotessa che praticava la magia proibita, che si sarebbe infiltrata in un gruppo di fanatici degli incantesimi Oblio, e che avrebbe cercato di fermarli dall’interno. Eppure l’aveva fatto, e adesso si trovava a dover prendere tempo per impedire il loro spostamento. Se se ne fossero andati, non li avrebbero più presi.
Helene oltrepassò i confini della città, si inoltrò nel bosco e proseguì per circa mezz’ora prima di trovare la grotta. Si inoltrò tra le fiaccole accese e le colonne di pietra fino a raggiungere il piccolo tempio sotterraneo.
Cercò Ruthilia, che era intento a infilare in un baule le sue ampolle dal contenuto ambiguo. Anche gli altri lo facevano.
«Ero braccata dai Cavalieri del Drago e mi ci è voluto un giorno intero per fargli perdere le mie tracce.» Iniziò cercando di essere adirata per sembrare più credibile.
Ruthilia si fermò e ascoltò cosa avesse da dirgli.
«Dopo che mi sia salvata la pelle anche questa volta, vedo dei carri muoversi verso Efryl. Era stato stabilito. Che saremmo partiti fra tre lune. Perché non sono stata informata? Volevate abbandonarmi?»
L’uomo, con la sua solita tunica di un verde malsano, fece una smorfia divertita. «Non sei una di noi, e non lo sarai mai.»
Helene ripensò alla sceneggiata che aveva recitato assieme ai Cavalieri del Drago. Loro che la inseguivano, e lei che cercava di fuggire lanciandogli conto globi innocui di magia di Luce. Ruthilia, che non a caso era lì, l’aveva salvata da quel finto bracconaggio. «Essere quasi uccisa da quei bastardi non è stato sufficiente? Hai visto anche tu.»
«Vuoi la verità?» Le domandò, ora serio. Al suo fianco si stavano avvicinando altri sacerdoti che non avevano un’espressione amichevole. «Sappiamo che sei una spia.»
«Ma come puoi dire una cosa simile?» Helene si trovò travolta dal panico. L’avevano scoperta! Non importava come avessero fatto ma, a quel punto, salvarsi la pelle era l’unica cosa che contava. Si voltò verso l’uscita ma era già circondata.
Ruthilia, ritenuto quasi lo Jarl di quei pazzoidi, iniziò a ridere. Lo fece di più, quando uno dei suoi sottoposti portò un coltello alla gola della donna.
Helene non voleva morire.
Analizziamo:
“Helene, alle prese con delle scartoffie…“
Questo è sbagliato. “Delle scartoffie” è troppo generico, non stimola una visione al lettore. Non stimola niente. Diamoci un senso utile.
“…dal Generale del Drago Jamka Ivarson, in tenuta di lavoro.“
Se il lettore sa già com’è questa tenuta da lavoro va bene, ha un’immagine in mente. Ma se non lo sa c’è da specificarlo soprattutto se l’oggetto in questione farà la sua apparizione altre volte.
“Le disse che non c’era più tempo: i maghi proibiti erano già alle prese con lo spostamento e dava a lei la colpa.“
Opta per i dialoghi indiretti solo se ne hai già inseriti molti, oppure se sono di poca importanza. Qui abbiamo un “le dava la colpa” che può essere interessante da leggere come lo fa, cosa le dice. Ed Helene come si sente, al riguardo?
“Allora, la donna corse al rifugio a chiedere informazioni.“
Questa è un’ottima occasione sprecata per concentrarsi sui pensieri di Helene. Potrebbe fare dei calcoli a mente. Supporre teorie su ciò che è successo, dare più informazioni mentre lei si precipita a scoprire la verità. In fondo, tutto il pezzo è pieno di lacune e non spiega nulla. Leggi come l’ho arricchito nel secondo pezzo.
“«Ancora pensavi che ti credevamo una di noi? Povera illusa… Lo sappiamo che sei solo una spia. Ti abbiamo mentito per depistare te, e tutti gli altri»“
Usare dialoghi lunghi per dire molte cose è un errore comune. Pensaci: nella realtà, mentre una persona parla di qualcosa, gli altri rimangono immobili ad ascoltare? Potrebbero provare a controbattere, potrebbero sbuffare, alzare gli occhi al cielo. Le persone non sono dei robot. In questi casi c’è da ridurre le parole dette, soprattutto se sono situazioni di tensione in quanto rischiano di annoiare e rovinare l’atmosfera. Puoi anche spezzettare il monologo in un botta e risposta. Altrimenti concentrati sui movimenti dei presenti. Il tremito delle mani, il cuore che accelera, un giramento di testa, la voce che ora urla.
“Helene tentò di difendere la sua posizione, ma non ci riuscì. Anzi, si trovò circondata e con una lama alla gola.“
Helene tenta di difendere la sua posizione. Come? Cos’ha fatto? Cos’ha detto?
E poi si trovò circondata da chi? Chi gli punta una lama alla gola? Come sono arrivati? Sono stati chiamati o erano già lì? Bisogna spiegare, mostrare ciò che avviene.
Ricordate che le parole non sono in vendita e le dita non si consumano. Scrivete tanto, ma scrivete bene.

Il volume precedente è già in commercio.